Storie di schiavismo e omicidio per la vendita di beni virtuali

Stavo leggendo un articolo su Gamasutra, il quale spiegava a grandi linee la situazione attuale sul diritto di proprietà nei confronti dei beni virtuali. Come saprete, attualmente, l’acquisto con soldi veri di oggetti all’interno di un qualsiasi gioco MMO, non ci rende in alcun modo proprietari degli stessi e di conseguenza nemmeno tutelati in caso di furti o perdite.

Ho letto due storie davvero impressionanti, ricollegabili entrambe al “valore reale” che hanno acquisito nel tempo gli oggetti virtuali. Ho pensato così di tradurle in italiano e riproporle in questo articolo.

Prigionieri obbligati a raccogliere oro virtuale

Nella primavera del 2011, un giornale inglese riferì che oltre 300 prigionieri nel campo di lavoro di Jixi, nel nord est della Cina, venivano costretti a lavorare a turni di 12 ore, giocando di notte ai videogame. Questo lavoro notturno era seguito da estenuanti giornate di lavoro manuale forzato.

i prigionieri venivano costretti a giocare per raccogliere oro virtuale. Se non riuscivano a rispettare le quote di produzione venivano picchiati. Di certo gli episodi di brutalità nei carceri cinesi non sono una novità, ma la costrizione a giocare online di certo non si era mai vista.

Ma perchè le guardie li costringevano a giocare? Semplice. Gli oggetti e la moneta ottenuti in gioco possono esser rivenduti per soldi “reali”. Di conseguenza le guardie carcerarie potevano rivendere l’oro ottenuto dai prigionieri per riempirsi le tasche.

Quando una spada virtuale può uccidere una persona reale

Un’altra tragica storia, sempre proveniente dalla Cina, ci racconta di un giocatore di Shanghai di nome Qiu Chengwei, il quale nel 2004 trovò una spada chiamata Dragon Saber, all’interno di un MMORPG coreano chiamato Legend of Mir. Si trattava di una spada così potente da esser valutata quasi un migliaio di dollari. Un amico di Qiu, Zhu Caoyuan, gli chiese se poteva prendere in prestito la spada virtuale per provarla, ma appena riuscì ad ottenerla, la vendette per una notevole somma di denaro.

Non si sa se Qiu andò a lamentarsi presso la società di gioco, ma di certo provò ad andare alla polizia cinese. Gli venne spiegato che la Dragon Saber non era di sua proprietà legale e che pertanto non poteva farci niente.

A questo punto, dopo averci ragionato per diversi giorni, Qiu decise di affrontare il suo amico di persona. Lottarono, ma stavolta non con una spada virtuale, bensì con un coltello vero. L’amico disonesto morì pugnalato e Qiu venne arrestato e condannato a vita in una prigione cinese.

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